Il grido

Alcuni anni fa un mio amico fraterno mi raccontò un momento della sua storia personale.
«Avevo poco meno di vent’anni e mi facevo di eroina da parecchi mesi. Non ero all’ultimo stadio, ma un giorno ebbi come un lampo di vera lucidità e mi divenne chiaro che quello era un vicolo cieco, una strada senza uscita, che se avessi continuato così sarei morto, prima o poi, e nel degrado umano più totale. Al tempo stesso non ero in grado di ribellarmi al mio stato di tossico, mi mancava la forza di volontà necessaria.
Mi rivolsi allora a una sorta di Dio interno (quello esterno, venerato dai più, aveva perso per me ogni credibilità), e gli chiesi un segno, qualcosa a cui attaccarmi per venirne fuori. Era come un grido, il tacito grido di disperazione di chi aveva perso tutto e implorava un aiuto.
Il giorno dopo finii per caso dentro una retata e mi arrestarono.
Particolare, eh! Io avevo chiesto aiuto e guarda un po’ cosa mi capita! Però … con il “senno di poi” … devo riconoscere che fu da quel momento, da quell’evento traumatico (non rimasi molto in prigione, ma non c’ero mai stato, fu un vero shock), che iniziò la mia risalita. E all’eroina non tornai più.»

Vi siete mai sentiti così?
Non intendo schiavi dell’eroina, ovviamente.
Intendo … come se foste prigionieri di voi stessi, stretti in una camicia di forza che vi impedisce qualsiasi vero movimento, avviluppati in una ragnatela invisibile ma indistruttibile?
Avete mai provato quel senso di totale impotenza per il non saper fare “ciò che è giusto fare”? E cosa è successo, in quel momento? Siete fuggiti inorriditi, scaricando su altri il peso della responsabilità del vostro fallimento, o … un grido, potente, assoluto, si è fatto strada dalle vostre profondità?

Quel grido rompe – a volte solo per un attimo – la barriera che esiste tra la nostra personalità e il nostro Signore interno, permettendo a quest’ultimo di (iniziare a) farsi valere nella nostra vita, al di là di tutti i propositi che abbiamo fino a quel momento perseguito egocentricamente. “La vita è quella cosa che ti accade mentre sei occupato in altri progetti”, diceva John Lennon.

Finché la barriera tra il nostro io e il “Signore dentro di noi” resta in piedi, noi vaghiamo senza una vera guida all’interno di un’esistenza fondamentalmente caotica e casuale, perennemente inquieti e insoddisfatti nonostante gli (eventuali) successi raggiunti. Il senso di inadeguatezza non ci abbandona: abbiamo la pancia piena e siamo ugualmente affamati, smarriti nel bel mezzo della nostra società, immersi nell’oscurità in pieno giorno. Chi ha vissuto a fondo l’esperienza del “vicolo cieco della coscienza” sa che sto parlando di uno stato reale, e che la rottura della barriera interna è l’unico evento che può riaprire l’orizzonte davanti a noi.

Tuttavia, quando questa barriera si frantuma non è in genere un bel momento, ciò che accade è da noi percepito con sofferenza, un dolore reale, a volte fisico, a volte psichico. Il tuo partner ti lascia … o perdi il lavoro … o cadi in malattia … o sei coinvolto in un incidente … o muore una persona cara, che ritenevi indispensabile … o finisci in prigione, come il mio amico.
È l’inaspettato che irrompe nella tua esistenza, irresistibile, irrefrenabile.
Sei in grado di accoglierlo, di fargli spazio?
O lo rifiuti, maledicendo la cattiva sorte?

Se lo accogli, se lo accetti, hai trovato una guida. E senti di avere finalmente una direzione, nella vita. Magari non sai qual è, ma sai che c’è.
All’inizio il tuo Signore interno indirizza la tua vita attraverso eventi esteriori che non controlli né tantomeno comprendi, ma poi – un poco alla volta – comincia ad avvenire una sorta di dialogo interno, un dialogo senza parole, fatto di suggestioni, immagini, indicazioni sottili.
Hai trovato il tuo Alleato (vedi L’Alleato), l’unico vero Amico.

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