Il giardino perduto
Riflettendo sul tema dell’ultimo articolo, “Il Mistero della vita”, mi è venuto in mente un passo ben noto del Genesi dell’Antico Testamento, dove si narra che in Eden Dio dette ad Adamo un avvertimento: “di ogni albero del giardino puoi mangiare a sazietà, ma in quanto all’albero della conoscenza del bene e del male non ne devi mangiare, poiché quando ne mangerai certamente dovrai morire”.
Lasciamo da parte in modo radicale tutti gli aspetti legati al cosiddetto “peccato originale” (con l’annesso senso di colpa) di cui è intrisa la mentalità cristiana ufficiale e consideriamo che Adamo (originariamente Adm) significa letteralmente “umanità” nel suo insieme, e non un singolo individuo.
Dio non sta dicendo agli esseri umani di allora che mangiare da quell’albero è sbagliato, ma solo che comporta morire. Non è una questione morale, è un suggerimento … come dire … tecnico: se fai questo succede quello.
Se osserviamo il mito da questa prospettiva, l’albero della conoscenza del bene e del male sembra essere una specie di porta tra una dimensione in cui la vita è eterna (nel mito si narra anche che, se Adamo mangerà i frutti dell’Albero della Vita, vivrà per sempre) e un’altra in cui si è soggetti alla morte.
Tornando al tema del precedente articolo, possiamo pensare che Eden – il Giardino sacro in cui viveva in origine l’umanità – si trovi quindi nella sesta dimensione, la sede naturale del fenomeno “vita”, e la conoscenza del bene e del male sia la porta che immette nella settima dimensione, quella del costante “mutamento” tra opposti, in cui si nasce e si muore, dove ci troviamo attualmente tutti.
Con la lampada della nostra intelligenza analogica ben accesa facciamo ora un ulteriore passaggio e poniamo (come ipotesi di indagine) che Eden, il Giardino sacro, si trovi dentro di noi, in una dimensione parallela del nostro essere a cui non abbiamo in genere accesso, ma che è in realtà accessibile. Poiché la porta che ci ha fatto scivolare in questa dimensione può essere varcata anche in senso inverso, se adottiamo i giusti accorgimenti.
Per esempio: se siamo finiti qui a causa della scelta di voler suddividere la visione unitaria della realtà in “conoscenza del bene e del male”, per varcare la porta nell’altra direzione, verso la sesta dimensione dell’essere, occorre innanzitutto rinunciare alla nostra propensione al giudizio, a frazionare in giusto e sbagliato, buono o cattivo, utile o dannoso, ogni cosa si presenti davanti alla nostra coscienza.
E poi … c’è un altro giardino di cui possiamo prenderci cura: il nostro campo elettromagnetico personale, una sfera vibrante che ci circonda, che plasma la nostra vita qui sulla Terra secondo una formula vibratoria del tutto individuale, attirando e respingendo persone, eventi, situazioni … Noi non la conosciamo e in genere nemmeno la percepiamo, ma possiamo vederne gli effetti, da un lato in ciò che ci accade, dall’altro nelle nostre reazioni, nel nostro comportamento nelle varie situazioni.
È doloroso – ma onestamente veritiero – ammettere che questo giardino non è per nulla in buone condizioni, quasi del tutto lasciato a sé stesso, che vi prosperano male erbe, che i fiori sono pochi e appassiscono rapidamente. Più che averne cura lo sfruttiamo, utilizziamo le sue piante per la soddisfazione dei nostri desideri egoistici, a volte anche solo – ahimè – per i nostri capricci.
Questo campo elettromagnetico personale non è ovviamente Eden, il Giardino perduto, sacro e originale. Ma gli è in qualche modo legato, poiché al suo interno si trova la porta per accedervi. È lì che possiamo intervenire sul nostro egocentrismo e sulla sua tirannia, che possiamo invertire la direzione del nostro desiderio.
È al centro di quel campo vibratorio, nel profondo del nostro cuore, che possiamo coltivare il Fiore senza tempo, poiché in quel centro si trova – da sempre – il suo seme.