Identità

Cammino sulla spiaggia di Mesa Longa, un gioiello sardo di natura (quasi) incontaminata (vedi l’immagine de “Il lavoro protetto”), e passo accanto a un palestrato che si sta facendo un selfie.
Trattengo la mia tendenza al giudizio e continuo la mia passeggiata in riva, ma al ritorno ripasso lì vicino e sento una musica martellante frantumare lo sciabordio delle onde: è il suo speaker collegato al telefono a inquinare il silenzio vivente di quel luogo.
Il mio “io giudicante” ringhia, ma il “saggio in me” mi richiama alla pace interiore e passo oltre.

Tornato al mio ombrellone mi consolo con i dolci rumori in riva, finché non arrivano un paio di persone che si raccontano, passeggiando in questo incanto, della loro denuncia dei redditi. Ah, i soldi …
Fortunatamente poi proseguono e torna il silenzio, portando pace tra il mio “io giudicante” e il “saggio in me”.

Quello che non si pacifica è il mio “io riflettente”: ma perché abbiamo così bisogno di riprodurre le nostre cose di sempre anche dove il contesto è di gran lunga più affascinante?
Sembra che noi umani non riusciamo a esistere senza mettere la nostra identità in primo piano: i nostri gusti, i nostri valori, le nostre abitudini, le nostre credenze, le nostre paure … «Sì, anche i nostri giudizi» mi ricorda impietosamente il “saggio in me”.
Ma perché diamo tutta questa importanza alla nostra identità e alle sue molteplici caratteristiche? Se guardassimo la Terra da lontano (ad esempio dalla Luna) non riusciremmo a distinguere nessuno dei quasi otto miliardi di esseri (quasi) umani che la popolano, sembreremmo tutt’al più tante formichine indaffarate.
Vero è che non siamo formiche, siamo esseri (quasi) umani, provvisti di una coscienza in sviluppo, e questa coscienza è del tutto individuale, personale, diversa per ciascuno di noi, in fondo unica. Questa coscienza in fieri definisce di fatto la nostra identità. Ma allora, se l’identità è quello che ci distingue fondamentalmente dal regno animale, perché la esibiamo a volte con una protervia – questa sì – ampiamente animale?
E soprattutto, a cosa serve – a noi e al Tutto – avere un’identità personale?
Perché non siamo davvero come formiche, che seguono il loro istinto gregario e procedono senza dubbi, più o meno indifferenziate tra loro sia nella forma esteriore che nell’agire? In fondo sarebbe più semplice vivere senza pensare, no? Chi di noi non l’ha desiderato, almeno una volta nella vita …

Lo so, quello del senso e del significato dell’identità è uno dei grandi Misteri della vita, e non è facile trovare una risposta esauriente che vada bene per tutti. La Risposta (quella con la R) sgorga solo dal nostro interiore, e solo al momento opportuno.
Già, il momento opportuno … e qual è?
Michelangelo sosteneva che nel blocco di marmo che si accingeva a scolpire era già presente la scultura, e che quindi il suo compito era liberare la forma da tutta la materia superflua.
E se fosse così anche per noi? Se fossimo anche noi una potenziale opera d’arte, che inizia da un blocco di materia grezza, a cui non va aggiunto valore, ma tolto il superfluo, ciò che non serve (o non serve più)?
Oggi si parla tanto di crescita personale, ma siamo sicuri che sia una strada realmente evolutiva? E se invece Tutto fosse già dentro di noi, soffocato da una sovrabbondanza di elementi futili e transitori, che ci impediscono di accedere alla Stanza dei Misteri? Se ci fosse davvero una possibile “decrescita felice”?
Poiché è nella Stanza dei Misteri, in questo spazio interiore della nostra coscienza, che troveremo tutte le risposte di cui abbiamo bisogno per fare della nostra vita una vera opera d’Arte.

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