Il buco della serratura

Forse conoscete questa storia.

C’erano una volta sei sapienti che vivevano insieme in un villaggio.
Un giorno fu condotto presso di loro un elefante e i sei sapienti – che erano ciechi – pensarono che, non potendo vederlo, avrebbero scoperto com’era fatto toccandolo.

Il primo toccò l’orecchio grande e piatto, lo sentì muoversi lentamente avanti e indietro, producendo una bella arietta fresca, e proclamò: «L’elefante è come un ventaglio».
Il secondo toccò le gambe dell’elefante e affermò: «È come un albero».
«Siete entrambi in errore – disse il terzo – l’elefante è simile a una fune», mentre toccava la sua coda.
Allora il quarto toccò con la mano la punta aguzza della zanna ed esclamò: «L’elefante è come una lancia».
«No, no – disse il quinto – è simile a una muraglia», disse toccandogli l’alto fianco.
Il sesto aveva afferrato la proboscide: «Avete torto, l’elefante è come un serpente».
«No, come una fune».
«Serpente!» - «Muraglia!» - «Ventaglio!» - «Avete torto!» - «Ho ragione io!».
I sei sapienti continuarono a urlare l’uno contro l’altro per più di un’ora, senza riuscire a scoprire come fosse fatto un elefante.

Certo, noi non siamo fisicamente ciechi (né tantomeno sapienti), ma questa storia ci racconta qualcosa, vero?!
Perché ciascuno di noi osserva la realtà a partire da una certa prospettiva, e questo particolare punto di vista si trova in una sorta di stanza, una stanza privata, prettamente nostra (o quasi), la nostra mentalità.
Le pareti di questa stanza sono la nostra esperienza e la nostra conoscenza, il nostro sapere (ma non tutto quello che pensiamo di sapere è frutto della nostra esperienza diretta, sovente si appoggia a credenze e a condizionamenti di varia natura).
È una stanza che teniamo in genere quasi sempre chiusa, che apriamo di tanto in tanto e con molta cautela, timorosi dell’effetto che potrebbe avere su di noi qualcosa che non conosciamo già, e che quindi non siamo in grado di maneggiare facilmente.

(I condizionamenti sono un bell’argomento di riflessione, molto ampio, che approfondiremo in un’altra occasione. Ma tutti sappiamo – e se non lo sappiamo, è un vero guaio – che fin dall’infanzia veniamo condizionati in vario modo, in famiglia, a scuola, al lavoro, in società. E alcuni di noi sanno che alla nascita la nostra anima non è una pagina bianca, porta già incisi dentro di sé alcuni importanti segni, retaggio di esperienze vissute nelle vite precedenti).

Dunque, quando osserviamo la realtà, stiamo guardando quello che ci permette la visuale che abbiamo dal buco della serratura della nostra stanza chiusa. Non possiamo percepire “le cose come sono” (una traduzione molto interessante del termine sanscrito dharma), ma solo “cosa significano per me”. Nulla di oggettivo, insomma.
Sì, è vero, qualcuno guarda da un buchetto piccolo piccolo e qualcun altro da un buco un po’ più grande, poiché – grazie all’esperienza e a una certa cultura – ha ottenuto una visuale un po’ più ampia. Ma per quanto ampia sia questa visuale, essa mostra solo una parte della realtà.

Ma … è importante per noi conoscere la realtà oggettiva?
Vorremmo veramente vedere le cose come sono?
O preferiamo rimanere nel solco conosciuto della nostra visione personale?
Siamo davvero stufi di guardare dal buco della serratura?

Cerco un centro di gravità permanente
che non mi faccia mai cambiare idea
sulle cose e sulla gente

Dante lo chiama “‘l punto al qual si traggon d’ogne parte i pesi”, e nella sua Comedia è il punto chiave del passaggio dall’Inferno al Purgatorio, dal triste e sterile spettacolo dei mali del mondo al cammino di purificazione verso la beatitudine del Paradiso.

Possiamo pensare che esista – dentro di noi – un “centro di gravità permanente”? E che sia raggiungibile?
Discorso lungo, da fare un po’ per volta e con cautela, poiché non esistono ricette valide per tutti, il percorso di avvicinamento a questo centro dipende da molti fattori individuali: storia personale, sensibilità, conoscenza (o ignoranza) di sé stessi.
Tuttavia tutto inizia con un «Sì! Non so come, ma sento interiormente che questo centro di gravità esiste e potrebbe essere raggiungibile».
Questo “sentire interiore” è il primo punto di appoggio della Grande Ricerca, nel corso della quale smantelliamo progressivamente i muri che ci trattengono nella nostra stanza privata e ci apriamo a una percezione della realtà finalmente obiettiva e completa.
Allora tutto, veramente tutto, ci appare in una dimensione nuova e sorprendente!

PS. Qualche spunto su questo argomento si trova in un articolo che ho pubblicato circa un anno fa (vedi Pi greco). Anche lì si parla di una porta …

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