Che anno sarà


Sì, ce lo siamo chiesto tutti, forse più con timore che con speranza: dopo due anni come quelli appena trascorsi, cosa ci riserverà questo nuovo anno? Quale sarà la sua “cifra distintiva”, la nota di fondo su cui è accordata la musica che sentiremo nei prossimi 365 giorni?
In sé è una domanda abbastanza puerile, dato che il giorno stabilito per l’inizio dell’anno è di fatto una convenzione, nemmeno comune a tutte le nazioni e alle loro tradizioni. Ed è inoltre evidente che non c’è nessuno – fisicamente – che fa risuonare la nota di cui parliamo.
Il parlarne è dunque poco più che un gioco, in quell’area tra il serio e il faceto in cui ama pascolare a volte la mia immaginazione, e forse anche la vostra.

Non posseggo alcuna sfera di cristallo né sono dotato di chiaroveggenza, ma sono sensibile e mi conosco abbastanza bene da percepire con una certa chiarezza i movimenti nel mio animo, soprattutto quelli non generati direttamente da me. In questi primi giorni dell’anno ho avvertito un’esigenza chiara, netta, qualcosa che non posso annoverare nelle mie capacità naturali e che comporterà quindi per me uno sforzo non indifferente.
Si tratta di liberarmi delle cose che mi hanno accompagnato fin qui ma che oggi non hanno più una reale utilità. E quando dico “cose” intendo non solo oggetti, ma anche pensieri e progetti, sentimenti ed emozioni, in sostanza “ricordi”.
Non sarà facile, lo so. Per due motivi (almeno).
Il primo è che i miei ricordi sono i muri casalinghi della mia identità, e non sarà semplice comprendere quali di essi hanno ancora la loro funzione e quali no, quali sono “muri portanti” e quali “muri divisori”. E anche se sarà un lavoro interessante, alla scoperta di aspetti di me che non ho ancora messo in discussione (e forse nemmeno conosco troppo bene), è chiaro che non si rinuncia volentieri a parti della propria identità.
Il secondo motivo di difficoltà è che dovrò fare questo importante (e per certi versi temibile) lavoro senza sapere assolutamente nulla di ciò che mi riserverà il “dopo”. Si tratta di fare spazio prima che questo spazio venga occupato, il che in sé sembra banale e scontato, ma non lo è affatto: tanto per fare un paio di esempi, in genere non lasciamo mai un impiego di lavoro senza averne già ottenuto un altro, né chiudiamo una relazione sentimentale prima che una nuova storia si sia affacciata alla nostra vita.
Già, ci viene difficile lasciare “il certo per l’incerto”, fare un passo nell’ignoto, nel non-conosciuto. Ci vuole fiducia, tanta fiducia. In sé stessi, nella vita, nel proprio destino.

Sarà un lavoro lungo, che impegnerà tutto l’anno, un lavoro di fino, punto per punto, oggetto per oggetto (mi serve ancora, con la vita che conduco oggi?), progetto per progetto (è ancora attuale?), pensiero per pensiero (è davvero così che stanno le cose?), emozione per emozione (non vivo meglio senza?), sentimento per sentimento (se tolgo l’abitudine, cosa resta?).

Si tratta (forse) di prepararsi a partire per un viaggio verso situazioni ancora sconosciute, poiché la società sta mutando molto rapidamente, la civiltà stessa a cui apparteniamo si sta trasformando: valori fin qui indiscutibili escono di scena, altri entrano, e la nostra coscienza ha bisogno di non essere appesantita da elementi inutili, per poterli assimilare quanto prima.
Poiché non è un viaggio del corpo (o non solo), bensì un viaggio dell’anima, da un tempo a un altro, più che da uno spazio a un altro.
Dunque, serve un bagaglio il più possibile leggero (vedi “Il bagaglio leggero”), una grande disponibilità al cambiamento, fiducia.

Sarà per tutti così?
Non saprei, ma tutto mi fa credere che sarà così per me, e forse anche per gli altri (tanti) membri della Grande Famiglia (vedi “La Grande Famiglia”), ovunque siano e qualunque cosa stiano facendo in questo momento.
Amici, amiche, andiamo incontro a questa “cerniera dei tempi” con attenzione, coraggio e abnegazione, preparandoci al meglio per quello che verrà.
Anche perché … potrebbe essere che il nuovo profumi – in un certo senso – di antico, che il futuro apra davanti a noi una possibilità che ha qualcosa a che vedere con i sogni e le aspirazioni che ci ispiravano in gioventù, quando il mondo non ci aveva ancora imbrigliato nei suoi tanti (inevitabili) compromessi.
Non possiamo sperare che essi possano realizzarsi così com’erano – questo è oggettivamente poco probabile – ma è verosimile che quanto ci faceva vibrare allora torni a far sentire la sua nota nel nostro cuore.

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