La guerra santa

Negli ultimi giorni alcuni avvenimenti accaduti a Nizza e a Vienna hanno nuovamente fatto parlare di “guerra santa”, quella che alcune frange estremiste hanno dichiarato alla società occidentale, i cosiddetti “infedeli”.

Sentir parlare di guerra santa in questo modo mi fa ogni volta vibrare di sdegno qualcosa dentro, perché “santa” vuol dire “sana”, e personalmente conosco un solo tipo di “guerra sana”, quella di cui scrisse René Daumal nel 1939, alla vigilia della seconda guerra mondiale.
René era già allora minato dalla tisi, di cui morirà (a soli trentasei anni) nel 1944, senza riuscire a terminare del tutto il suo libro più importante, “Il monte analogo”, un romanzo di “avventure alpine non euclidee e simbolicamente autentiche” ispirato agli insegnamenti di Gurdjieff. Poeta, scrittore e filosofo francese, profondo conoscitore dell’induismo, le sue opere sono pubblicate in Italia da Adelphi e il brano che state per leggere è un estratto del capitolo “La Guerra Santa” e fa parte del libro “La conoscenza di sé”.

“Farò un poema sulla guerra. Forse non sarà un vero poema, ma sarà su una guerra vera.
Delle altre guerre – quelle che si subiscono – non parlerò. Se ne parlassi sarebbe letteratura comune, un sostituto, un meglio che niente.
Come mi è accaduto di usare la parola “terribile” quando non avevo la pelle d’oca. Come certi parlano di purezza solo perché si sono sempre considerati superiori al maiale domestico. Come certi parlano di libertà adorando e ridipingendo le loro catene. Come certi parlano d’amore non amando che la propria ombra. O di sacrificio quando per nessuna ragione si taglierebbero neanche il mignolo.

Ma ho il diritto di parlare dell’altra guerra?
Non sono che alle scaramucce, è vero, ma se anche solo raramente ne ho il diritto, è vero che talvolta ne ho il dovere, anzi, il “bisogno”, perché in questa guerra non avrò mai abbastanza alleati.
Cercherò dunque di parlare della guerra santa.

Che possa scoppiare in modo irreparabile!
Si accende di tanto in tanto, e mai per molto tempo.
Alla prima parvenza di vittoria io mi ammiro trionfare, e faccio il generoso, e vengo a patti col nemico.
Vi sono dei traditori nella casa, ma hanno volti di amici. Hanno il loro posto accanto al fuoco, parlano in prima persona, sono così bravi che mi sembra di sentire la mia voce: «Io sono … io so … io voglio …».
Menzogne!

Sono numerosi, sono seducenti, sono pietosi, sono arroganti.
È grazie a loro che faccio bella figura, poiché sono loro che tengono le chiavi dell’armadio delle maschere.
Quei fantasmi mi rubano tutto e poi cercano di impietosirmi: «Noi ti proteggiamo, ti esprimiamo, ti facciamo valere! Perché vuoi assassinarci, noi, i tuoi buoni amici? Cosa faresti senza di noi?».

Guardate che bella pace mi si propone: chiudere gli occhi per non vedere il delitto, credersi vittorioso prima ancora di aver lottato. Pace di menzogna!
Adattarsi alle proprie vigliaccherie poiché lo fanno tutti. Pace di vinti!
E per salvaguardare questa pace vergognosa si farebbe di tutto, si farebbe – si fa – la guerra al proprio simile. Perché esiste una vecchia ricetta sicura per conservare la pace dentro di sé: accusare sempre gli altri. Pace di tradimento!

Adesso sapete che intendo parlare della guerra santa.
Chi ha dichiarato questa guerra dentro di sé è in pace coi propri simili e, benché egli sia campo della più violenta battaglia, nell’intimo del suo intimo regna una pace più attiva di qualsiasi guerra.
E più regna la pace nell’intimo dell’intimo, nel silenzio e nella solitudine centrale, più infierisce la guerra contro il tumulto delle menzogne e l’innumerevole illusione.

In questo vasto silenzio bardato di grida di guerra l’eterno vincitore ode le voci di altri silenzi.
Dissolta l’illusione di non essere solo, egli sa di non essere il solo a essere solo”.

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