Distaccarsi per vedere

Qualche anno fa, mentre viaggiavamo in auto per andare a un convegno in Olanda, un mio amico mi pose un’interessante questione:

Se sei immobile dentro un’auto mentre guida qualcun altro e stai viaggiando – poniamo – da Torino a Milano, sei fermo o sei in movimento?

Ambedue: sono fermo nell’auto ma in movimento lungo la strada, risposi.

Appunto, tutto dipende da dove si trova il tuo punto di osservazione, da dove stai guardando la situazione: se sei all’interno dell’auto ti sembrerà di essere fermo, ma se guardi dall’esterno vedrai la situazione reale, il movimento. Così è per tutto: se vuoi comprendere veramente una cosa, devi porti al di fuori di essa, devi guardarla con distacco. Vale per ogni cosa della vita, dal lavoro agli affetti. Devi poter osservare ciò che ti accade come se guardassi un film in cui il protagonista non sei tu!

Sembra semplice, no?!
Ma come si fa? Perché siamo sempre “all’interno” delle situazioni, più o meno coinvolti emotivamente da quello che sta accadendo, e la nostra coscienza non riesce a leggere la realtà in modo obiettivo, oggettivo, poiché in ciò che osserviamo siamo “soggetti”, non “oggetti”. Quando il soggetto non siamo noi ma qualcun altro (che diventa quindi per noi un oggetto), è infatti molto più agevole comprendere cosa sta accadendo veramente nella situazione.

Eppure, un modo ci sarà …
Come possiamo fare per equilibrare il rapporto tra ciò che ci accade e il nostro stato d’animo, per non essere coinvolti emotivamente? O non esserlo troppo, in modo da poter osservare le cose con un certo distacco?

Alcuni pensano che la soluzione sia diventare insensibili, e a volte ho sentito frasi tipo “come vivono meglio quelli che non si rendono veramente conto di cosa accade intorno a loro!”, o altre simili …
Altri cercano nelle pratiche di meditazione la possibilità di estraniarsi dall’esistenza, e a volte questo porta a un effettivo rilassamento dello stato d’animo, se non anche – in alcuni casi – a uno sguardo effettivamente più oggettivo sulle vicende della vita. Lo stesso può accadere approfondendo la consapevolezza della respirazione, che in fondo è la funzione principale del corpo nel rapporto esterno-interno, perlomeno quella che attiviamo più sovente, a ogni … respiro, a ogni secondo.

Io ho percorso una strada in apparenza paradossale: anni fa ho smesso di cercare di estraniarmi da me stesso e dalle mie emozioni e ho provato invece a entrare più in profondità dentro di me, per vedere se non esisteva al mio interno un “centro” dove il distacco emotivo fosse possibile e praticabile.
Aggiungo che per me “meditare”, con il tempo, ha assunto sostanzialmente il significato di “andare al centro”, e mi avvalgo per questa mia interpretazione (che non è l’unica e nemmeno la più nota) dei termini latini “medium” e “ire”, andare verso ciò che è in mezzo.

“Cerco un centro di gravità permanente, che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose e sulla gente”, cantava Franco Battiato qualche anno fa, sull’onda dei suoi studi appassionati degli insegnamenti di Gurdjeff.

Ora, ammesso che esista, questo centro di gravità permanente … dov’è? E la coscienza umana può davvero accedervi?
Ecco, quest’ultima è quella che considero “una domanda essenziale”.
Ed è alla ricerca di una possibile risposta – che sia da un lato “verosimile” per la vostra intelligenza e dall’altro autenticamente “percepita” dalla vostra sensibilità – che questo viaggio vi sta invitando, amici entronauti.

Ci vediamo alla prossima tappa …

Aemi

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