Il labirinto

Vi è probabilmente già accaduto di attraversare momenti di vero smarrimento nella vita, in cui sembra che la strada davanti a voi sia sbarrata, ogni aspetto della realtà scollegato dagli altri, momenti in cui vi sono state richieste scelte che non potevano appoggiarsi su alcun elemento certo. Conosco bene tale stato, l’ho vissuto più volte anch’io, in passato.
Di momenti così si dice in genere che è come “trovarsi dentro un labirinto”, ma – così facendo – si fa torto a un simbolo molto antico e molto profondo, dalle molteplici implicazioni.

Nelle immagini tramandate dalla storia si possono trovare due tipi di labirinti:

  • uno che rappresenta in tutto e per tutto una descrizione dello stato a cui accennavo sopra, dove il percorso è totalmente disorientante, comprende molti vicoli ciechi, inizia all’esterno e finisce (quando tutto va bene) all’esterno;
  • e uno, apparentemente simile ma fondamentalmente diverso, che inizia all’esterno ma finisce al centro, con un percorso unico, dove non ci si può perdere poiché si può solo avanzare o retrocedere.

Nel corso del tempo è la prima versione che si è “codificata” nel nostro immaginario, portando con sé una serie di associazioni psicologiche, come il disorientamento e il relativo senso di angoscia.
Troviamo il secondo tipo di labirinto nel pavimento delle cattedrali di Chartres e di Amiens, sul pilone esterno del duomo di Lucca, persino – mistero! – nell’abito di un gentiluomo rinascimentale dipinto da Bartolomeo Veneto.

labirinto center

Per quanto riguarda il primo tipo c’è poco da dire, in quanto la vita esteriore che siamo costretti a condurre nel mondo lo racconta già con dovizia di particolari. Ci soffermeremo quindi sul secondo tipo, approfondendone (un po’) la conoscenza.

Una possibile etimologia di questo termine rimanda a “labor-intus”, il lavoro verso l’interiore, il percorso di “conoscenza di sé” a cui già il frontone del Tempio di Delfi della Grecia antica era dedicato (“Uomo, conosci te stesso e conoscerai l’universo e le sue leggi”).
Tale percorso inizia nel mondo esteriore ma poi si dipana totalmente nell’interiore, con volute tali da riempire con ordine tutto lo spazio disponibile. Si avvicina più volte al centro ma poi si riallontana, anche molto, finché – in ultimo – conduce proprio lì. Nel pavimento della cattedrale di Chartres il centro è rappresentato addirittura come un fiore, simbolo dello sbocciare di qualcosa.

Chi inizia un viaggio alla ricerca della conoscenza di sé stesso vedrà in questo percorso la rappresentazione di vari passaggi progressivi della nostra coscienza, che ha bisogno di vedere – di quando in quando – la meta finale, per non perdere la speranza di arrivare in fondo.
E chi arriva a considerare il proprio sistema vitale come un autentico laboratorio alchemico non avrà difficoltà a constatare che la vivificazione (e il risanamento) di ogni spazio interno sono parte integrante del processo. Nulla può essere tralasciato, prima della fioritura finale, ogni aspetto del nostro sistema umano richiede di essere “visitato” per poter essere riportato in vita, e così in salute.

Iniziare questo percorso di sviluppo non è automatico, poiché la porta del labirinto interiore richiede l’uso di una chiave, una chiave particolare, una chiave iniziatica. Senza di essa la conoscenza di sé può portare a un semplice percorso psicologico, che non ci permette di avanzare nel sentiero unico del vero labirinto e ci lascia in uno stato costellato da dubbi (il labirinto esteriore).
La “chiave iniziatica” non è fatta di materia, né grezza né sottile (emotiva o intellettuale). Tentando di descriverla, potremmo dire che è costituita di una particolare energia, che vibra in concordanza con ciò che troveremo al centro del labirinto. Che non è il Minotauro! Quello – un essere in parte umano in parte animale – siamo noi prima del processo alchemico.
Ciò che troveremo al centro del labirinto è – giustamente – un Mistero, cioè qualcosa che non possiamo comprendere solo con la mente, ma che va vissuto come esperienza piena.
In realtà, il Mistero non può essere da noi compreso poiché è Lui che comprende noi, che ci avvolge, ci penetra e ci impregna. E ci trasforma.

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