La porta nel muro
Qualche anno fa ho adattato un suggestivo racconto di H. G. Wells per un concerto-recital che si chiamava “La porta sull’infinito”.
Penso che sia una storia che, in una certa misura, ha qualcosa da dire a tutti noi.
A quel tempo ero un ragazzino, avrò avuto più o meno cinque anni. Ricordo che camminavo lungo una strada non distante da casa e il mio sguardo fu attratto da un tralcio di vite canadese che si stagliava su un muro bianco e incorniciava una porta verde.
Un’emozione speciale mi catturò, un’attrazione particolare per quella porta, il desiderio di avvicinarmi, di aprirla, di entrare … ma anche una certa paura, che mi spinse a tirare diritto, con le mani in tasca, fischiettando con aria fintamente disinteressata …
A un certo punto però fui sopraffatto dall’emozione, tornai indietro di corsa, aprii la porta e mi lanciai dentro …
Mi ritrovai in un ampio giardino.
È passato molto tempo da quando vidi quel mondo, ma ricordo con chiarezza che tutto era diverso, profondamente diverso.
Appena i miei piedi toccarono il suolo di quel giardino mi sentii intensamente felice, come accade quando si è veramente spensierati. L’aria era tersa, inebriante, e dava un senso di levità, di benessere; la luce era calda, piena, penetrante, i colori limpidi, netti, sottilmente luminosi … tutto era straordinariamente bello là dentro, tutto era soave.
Era un giardino incantato!
Provavo come la sensazione di essere tornato a casa, un’impressione di giustizia appagata, qualcosa che mi riportava alla mente circostanze felici stranamente dimenticate. Correvo tra gli alberi, respiravo a pieni polmoni, osservavo con stupore il cielo e le nuvole sfiorate dal sole.
Vi erano tutt’intorno numerose persone, belle e gentili, che percepivo ben disposte verso di me, felici di avermi tra loro.
Trovai dei compagni di gioco – una gran cosa per me, che ero un ragazzino solitario – e ci mettemmo a giocare in un cortile erboso, e giocare era … amare!
Dopo un po’ di tempo una signora dall’espressione seria mi si avvicinò, mi fece sedere accanto a lei e aprì davanti a me un libro, un libro incredibile: le sue pagine erano “viventi”, vedevo me stesso, la mia storia, tutto quello che mi era accaduto fin dalla nascita, la mia cara mamma, mio padre, rigido e austero, i servitori, la mia cameretta, gli oggetti a me familiari …
Voltavo le pagine e guardavo sempre più strabiliato, le persone si muovevano, le immagini andavano e venivano … finché non giunsi al momento in cui mi aggiravo fuori dalla porta verde…
«E poi?» chiesi esitante, e la signora si chinò su di me, mi baciò sulla fronte e aprì la pagina seguente …
Mi ritrovai nella strada grigia che stavo percorrendo prima di entrare nella porta, in quell’ora fredda del pomeriggio in cui i lampioni non sono ancora accesi, e piangevo forte senza riuscire a dominarmi, in preda a una sofferenza del tutto incontrollabile.
Oh, la desolazione di quel ritorno!
A casa cercai di raccontare l’incredibile esperienza che avevo vissuto, ma non venni creduto, fui sgridato e zittito. Era stato tutto un sogno?
Sogno o non sogno, decisi di tenere caro nel cuore il ricordo di quel giardino, ripromettendomi di tornarci “nel più breve tempo possibile”.
I miei movimenti però furono posti sotto più stretta sorveglianza, suppongo per impedirmi di perdermi, e – per quanto adesso mi sembri incredibile – finii per dimenticare tutto quanto.
Qualche anno più tardi mi smarrii per caso in certe viuzze che frequentavo di rado. Stavo cominciando a preoccuparmi di non riuscire ad arrivare a scuola in tempo, quando a un certo punto li vidi: il lungo muro bianco e la porta verde che immetteva nel giardino incantato. Allora non era stato un sogno!
Tuttavia … capite, ero un ragazzo per bene, puntuale, ci tenevo alla considerazione che gli insegnanti avevano di me, non potevo attardarmi. Avevo un certo desiderio di aprire la porta, per la verità, ma … passai oltre.
In quel momento devo aver pensato che era già una cosa meravigliosa che il giardino fosse lì e che conoscessi la strada per tornarci. Ma, quando la cercai, alcuni giorni dopo, non la trovai più. Tornai più volte, ma era come sparita.
Avevo quasi vent’anni quando mi si parò innanzi per la terza volta, mentre mi stavano accompagnando alla stazione per prendere il treno. Ero diretto all’università in cui mi avevano promesso una borsa di studio, e fu solo una visione fugace.
Stavo assaporando l’aria mattutina che entrava dal finestrino, quand’ecco all’improvviso il muro, la porta, quella dolce sensazione di emozioni indimenticabili …
Pensai di richiamare l’attenzione del guidatore, ma intanto guardai l’orologio, vidi che era tardi, rischiavo di perdere il treno, e … decisi di lasciar perdere.
Alla sera, ottenuta la borsa di studio, riflettevo che, se mi fossi fermato, avrei rischiato di compromettere la brillante carriera che si stava aprendo davanti a me.
Seguirono anni di duro lavoro, senza che la porta mi apparisse più.
Forse per la crisi dei quarant’anni, forse per la stanchezza dovuta al troppo lavoro, sopravvenne in me la sensazione che si fosse depositato sul mio mondo una sorta di pulviscolo nero, come se la vita fosse diventata troppo faticosa, come se le ricompense che essa offre fossero infine di scarso valore.
Ricominciai a pensare al giardino e a desiderarlo con molta intensità. Se mai la porta si ripresenterà – giuravo a me stesso – entrerò, via da questa polvere soffocante, da queste futili fatiche.
E la porta si ripresentò! Due volte!
La prima occasione fu mentre accorrevo al capezzale di mio padre.
Stavo guidando sul far della sera, e i fari della mia auto puntarono dritti su quel muro bianco. Mi avevano detto che mio padre era in punto di morte, non me la sentii di attardarmi e tirai dritto.
Pochi mesi dopo, invitato a una cena di lavoro alquanto delicata, stavo passeggiando con un importante uomo politico e chiacchieravo della possibilità di un mio ingresso nel governo … quando a un tratto, lungo la strada davanti a noi, ai margini del mio campo visivo, percepii ancora una volta il muro bianco e la porta verde.
Passai a mezzo metro dalla porta … e la oltrepassai parlando!
«Se mi fermo ed entro mi prenderanno per matto», pensai, e tutta una serie di miserabili considerazioni mondane ebbe il sopravvento sul mio anelito.
E ora eccomi qua, consapevole che la porta che conduce alla pace, alla gioia, a una bellezza che supera ogni immaginazione, a una grazia che a pochi è data su questa terra, mi è stata offerta più volte e io più volte l’ho rifiutata.
Ora vedo l’antica promessa fatta a me stesso bambino – quel “tornare nel più breve tempo possibile” al giardino – come un intento appassito, coperto della grigia polvere di innumerevoli, codardi e sciocchi rinvii.
E mi chiedo: «Mi verrà offerta ancora una possibilità?»