Morte e dintorni - dopo

Qualche tempo fa ho partecipato, nella pineta e sulla spiaggia di Ansedonia, a un rito laico di spargimento delle ceneri della madre di una mia amica. Ero stato anche (marginalmente) amico della madre, molti anni fa, ma sono andato soprattutto per accompagnare la mia amica in un momento importante della sua vita.
Nel corso del rito – bello, semplice, accorato – una ventina di persone hanno offerto il loro ricordo della loro amica scomparsa, e io ho potuto nutrire la mia coscienza di due momenti speciali.
Il primo è stato quando la mia amica ha detto «Sono stata dentro di te, ora tu sei dentro di me», un pensiero che – nella sua semplicità – mi ha veramente commosso.
Il secondo quando ha recitato una poesia di Emily Dickinson, molto cara a sua mamma nell’ultimo periodo della sua esistenza: “Il mio fiume scorre verso di te - azzurro mare! Mi accoglierai? Il mio fiume attende una risposta – oh mare – sii benevolo con me! Ti porterò ruscelli da angoli lontani. Ehi – mare – prendimi!

Quando un essere umano se ne va, la vita di chi resta subisce uno scossone, più o meno grande e coinvolgente. Nasce qui il “cordoglio”, il dolore del cuore.
Perdere un genitore può essere un fatto triste ma in un certo senso naturale (quando non ci accade da bambini, perché allora è una faccenda più complessa). Forse stava soffrendo per qualche malattia, o magari era molto anziano, ormai attaccato all’esistenza solo dall’istinto di conservazione, senza poter proseguire in nulla la sua personale “avventura della coscienza”, e talvolta la sua scomparsa rappresenta persino una liberazione, per lui e per chi resta.
Perdere un compagno o una compagna è sicuramente un evento molto più doloroso, che in genere può essere compreso e assimilato solo dopo un certo tempo.
Perdere un figlio o una figlia è veramente un dramma, qualcosa che appare a chi lo subisce come del tutto contro natura, (quasi) impossibile da dimenticare.

Tuttavia, senza nulla togliere a queste considerazioni, proviamo a osservare il fatto che ciascuno di noi ha trovato naturale l’espressione “perdere un compagno, una compagna, un figlio, una figlia”. Perché perdere? Possiamo perdere solo quello che pensiamo di possedere, e noi non possediamo davvero nemmeno noi stessi, figuriamoci un’altra persona!
E se fosse proprio qui, in questa percezione un po’ distorta dell’altro, la radice di molta sofferenza, sia durante la vita insieme che dopo, quando uno dei due se ne è andato?
Beninteso, è naturale – ma solo per un essere umano, il resto del creato funziona altrimenti – sentire “proprio” un compagno, o un figlio. Ma è anche giusto? Porta armonia nella vita? O genera conseguenze un po’ deformi (come accade in vita, ad esempio, con la gelosia)?
Se riuscissimo a vivere la relazione con l’altro come “un’anima che accompagna un’altra anima”, tutto sarebbe più semplice, sia durante la vita che … dopo.

Proviamo a immaginare la situazione migliore, cioè che noi siamo in grado di intessere in vita con l’altro una relazione di “amore senza possesso”. Nel momento in cui uno dei due dovesse scomparire dalla vita attiva, non ci sarebbe alcuna perdita, ma … un ulteriore passo da fare insieme.
Mi spiego meglio.
Se non fossimo offuscati dalle emozioni legate al dolore della perdita, potremmo accorgerci che, nelle prime ore dopo il decesso, l’anima di chi è morto ha ancora qualcosa a che fare con il mondo che sta abbandonando, e potremmo accompagnarlo con il nostro affetto, circondandolo di una grande calma calorosa, in una sorta di meditazione serena e attiva.
E dopo, una volta che tale anima ha intrapreso il viaggio nel Bardo (lo stato intermedio tra la morte e una nuova vita), saremmo in grado di rispettare il suo percorso, evitando di cercare di coinvolgerla con i nostri pensieri e le nostre emozioni, con i nostri rimorsi o i nostri rimpianti, o con la presunzione di sapere cosa è meglio per lei.
In realtà c’è molto da fare nelle relazioni finché le persone sono in vita, ma dopo … dopo ci vuole soprattutto rispetto, un profondo e amorevole rispetto per lo stato d’anima effettivo di chi è scomparso dalla vita attiva.

Quando la vita se ne va, si cambia stato. Ogni immagine di noi, della nostra personalità, del nostro carattere, dei nostri comportamenti, non ha più alcun senso di attualità, appartiene ormai a un passato che non tornerà.
Quando, nella pineta di Ansedonia, la mia amica ha detto «Sono stata dentro di te, ora tu sei dentro di me », penso che non intendesse un’immagine, ma un’essenza da portare nel cuore. Perché il fiume, quando raggiunge il mare, abbandona la sua forma di fiume ma continua a esistere nel tutto del mare.
Poi, un giorno, diventerà vapore, pioverà sulla terra, alimenterà un nuovo fiume, che scorrerà verso il mare. Finché non sarà in grado di andare “oltre”.

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