Morte e dintorni - prima

Negli ultimi tempi mi è capitato sovente di essere più o meno coinvolto in storie che avevano qualche attinenza con il nostro grande tabù, la morte.
Ho pensato quindi di mettere per iscritto alcune storie e alcune riflessioni che mi è accaduto di fare, che ho suddiviso in “prima, durante e dopo”.

A una mia amica che viveva a Imperia venne diagnosticato, una quindicina di anni fa, un tumore a uno stadio avanzato. I medici le diedero tre mesi di vita.
Lei aveva a quel tempo meno di cinquant’anni e alcune cose importanti da fare: un marito che stava invecchiando e non aveva, in quel momento, una buona salute; una figlia adolescente da crescere, un bel progetto di un b&b di eccellenza da portare avanti insieme alla figlia.
Tredici anni dopo (!!!), quando ormai la figlia era divenuta adulta e aveva trovato la sua strada professionale a Parigi, e dato che il marito stava un po’ meglio, si lasciò serenamente andare e concluse la sua esistenza. Il sorriso che fioriva sul suo viso nella camera ardente raccontava di un’opera conclusa.

Nell’ultimo brano del suo ultimo cd, “Smisurata preghiera ”, Fabrizio De Andrè parlava di “consegnare alla morte una goccia di splendore, di umanità, di verità ”.
Dato che non c’erano registrazioni di qualità soddisfacente dei suoi concerti dal vivo, decise di intraprendere – benché consapevole di essere ormai un malato terminale con pochi mesi di vita davanti a sé – una serie di concerti con i brani a cui lui era più legato. Chiamò a raccolta i migliori musicisti amici e i suoi due figli, Cristiano e Luvi, e iniziò un tour da cui venne ricavato poi uno spettacolo televisivo e un dvd.
Ancora oggi, ogni tanto, riguardo questo concerto straordinario, per atmosfera, ispirazione, qualità delle esecuzioni, con alcuni illuminanti interventi di Fabrizio a raccontare la genesi di alcuni brani che permettono di comprendere meglio quale essere umano lui fosse. Una vera meraviglia!

Bob Marley sapeva di non avere più molti mesi di vita davanti a sé quando compose “Redemption song ”, la sua canzone più spirituale, che divenne una sorta di inno per un’intera generazione.
Ecco, il soffione che ho utilizzato come immagine per questo articolo rappresenta quel momento dopo la fioritura in cui la pianta raggruppa tutte le sue energie prima di volare via, diffondendo i propri semi. (La leggenda narra che le fate, per nascondersi dall’avvento degli uomini, si trasformarono in denti di leone e, quando la pianta si convertì in soffione, i semi alati – portati dal vento – permisero alle fate di volare via, nuovamente libere).

Perché racconto queste storie? Perché ultimamente ho avuto a che fare con diverse persone a cui è stato diagnosticato un tumore, e ho visto nei loro occhi – sovente ma non sempre, per fortuna – come se la paura che la vita fosse finita o stesse finendo rischiasse di prendere il sopravvento.
A loro, che spero mi stiano leggendo, vorrei ricordare che la vita è adesso , in questo preciso momento, in questo istante irripetibile, questa “scheggia di tempo, grande gemma ” di cui poetava il monaco Takuàn. E che nessuno conosce né lo svolgersi del proprio futuro né – soprattutto – la qualità della vita che ha ancora a disposizione.
È una qualità che dipende esclusivamente da noi stessi !
È sempre stato così, in ogni momento, a partire dal giorno in cui la nostra coscienza ci ha permesso di iniziare a fare delle scelte per indirizzare la nostra vita.
Giorgio Gaber mostrò, in un cd pubblicato successivamente alla sua scomparsa, che “Se ci fosse un uomo, un uomo nuovo e forte, forte nel guardare sorridente la sua oscura realtà del presente ”, qualcosa di nuovo, di veramente nuovo , potrebbe iniziare per la nostra (povera) umanità.

Certo, qualcuno distilla il proprio meglio e poi si spegne, qualcun altro ritrova il proprio equilibrio e continua a vivere. Ma l’uno e l’altro possono fare questo solo se entrano nel presente vivente della loro esistenza, accettando la propria condizione e cercando nel profondo di sé stessi la fonte dell’energia della vita .

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