La rana e la pentola
“Immaginate una pentola di acqua fredda e dentro una rana che nuota tranquillamente.
Si accende un fuoco sotto la pentola e l’acqua si riscalda piano piano, divenendo presto tiepida. La rana è in una situazione piacevole e continua a nuotare.
La temperatura comincia a salire. L’acqua è calda, un po’ più calda di quanto piaccia alla rana, ma per il momento lei non se ne preoccupa, anche perché il calore tende a stancarla e a stordirla.
L’acqua ora è davvero calda, la rana comincia a trovarlo sgradevole ma è talmente indebolita che preferisce sopportare, si sforza di adattarsi. Fino al momento in cui la rana finisce per cuocere e morire.
Immersa di colpo in una pentola d’acqua a 50°, la stessa rana salterebbe fuori con una salutare spinta delle zampe”.
Questa metafora, utilizzata per la prima volta – pare – da Marty Rubin nel 1987 e ripresa da Olivier Clerc nell’interessante libretto “La rana che finì cotta senza accorgersene e altre lezioni di vita” (Bompiani, 2011), racconta qualcosa della situazione in cui siamo immersi, volenti o nolenti, nell’esistenza che conduciamo ogni giorno.
È chiaro che la consapevolezza della propria condizione (la temperatura dell’acqua sta salendo? sono ancora abbastanza sveglio?) è veramente vitale, e do per scontato che tu che mi stai leggendo sia abbastanza conscio della sua importanza.
Approfondiamo però – almeno un po’ – la natura della pentola, dell’acqua contenuta e di chi regola il fuoco dall’esterno?
Possiamo associare la pentola al contesto sociale in cui siamo immersi e coinvolti: la città, il paese o il rione in cui viviamo, il nostro ambiente di lavoro, la famiglia (di appartenenza o che abbiamo costruito), la condizione economica in cui versiamo …
Nell’acqua si trovano le relazioni che si sviluppano nel contesto di cui stiamo parlando: non solo quelle che intessiamo noi direttamente, ma anche quelle che ci giungono attraverso le informazioni che sono state inserite in tale contesto attraverso i media.
Se consideriamo la trasformazione nel tempo del tenore di queste informazioni possiamo vedere un certo schema, una certa “direzione”. Osservate la maggior parte delle pubblicità: quale parte di noi stanno blandendo, sollecitando, stimolando? Quali paure stanno fomentando, per proporre soluzioni (apparentemente) rassicuranti? Quale mito sociale stanno proponendo, attraverso modelli che in realtà non sono davvero riscontrabili nella realtà?
Qualcuno sta “scaldando l’acqua”, indubbiamente.
E lo fa – anche – in un modo ancora più raffinato e subdolo, come cantava Giorgio Gaber nel suo bel brano “Il tutto è falso” , pubblicato nel 2004, poco dopo la sua scomparsa:
“Il falso è quello che credono tutti,
è il racconto mascherato dei fatti,
il falso è misterioso e assai più oscuro
se è mescolato insieme a un po’ di vero …”.
Sì, mescolare un po’ di vero al falso è un altro modo – molto efficace – di scaldare l’acqua.
Ma chi scalda l’acqua?
Il vecchio detto “cui prodest? – a chi giova?” dà una traccia, un’indicazione, una direzione in cui guardare.
Vi sono interessi economici: se riesco a dirigere i desideri delle persone, posso vendergli quello che produco. Posso per esempio fargli pensare che la sua libertà sia scegliere tra una marca di telefonini e un’altra, e non se avere un telefonino o no. È una traccia che porta alle multinazionali.
Vi sono interessi politici: posso manipolare l’opinione pubblica affinché scelga un certo partito, o una certa area di partiti. Questa traccia porta verso le grandi nazioni dominanti, che hanno bisogno di tenere sotto controllo lo scacchiere internazionale.
Vi sono interessi legati all’evoluzione – o involuzione – dell’umanità, nel senso che esseri umani “senza coscienza” saranno sempre più facilmente manipolabili, dirigibili, governabili.
Sono tutti interessi di parte – poiché in questo mondo ciascuno tira acqua al suo mulino – ma in fondo sono interessi convergenti: industriali, commercianti, statisti, politici, giornalisti, opinionisti (ah, che parolaccia!) hanno tutti convenienza a che il singolo essere umano non sia in grado di pensare veramente , ma scelga piuttosto di pensare quello che gli è stato suggerito, nell’illusione di farlo liberamente.
Quello che mi chiedo io – e molti altri insieme a me – è: questa “perdita di coscienza” ha solo degli interessi materiali o c’è dietro qualcos’altro?